giovedì 18 aprile 2013

Potere e responsabilità.



Oggi dico con certezza che non giudicherò mai più un genitore con la leggerezza con cui lo facevo prima di essere madre a mia volta.

Appena diventi madre sembra che tutti cerchino di farti capire che non sei capace di fare la mamma, che devi imparare, e a tale scopo si sentono in dovere di elargirti un sacco di buoni consigli su come si fa, dando per scontato che si fa in un solo modo: il loro. Altrimenti sbagli.
La verità è che tu (e/o il padre del bimbo, in certi casi) sarai sempre la maggior esperta mondiale di tuo figlio, (anche se all’inizio non lo pensi) e semplicemente l’unica cosa che occorre imparare è proprio questa verità.
Cercheranno di farti credere che tuo figlio non è stato affidato a te, ma è stato affidato ai medici, agli "esperti" e che sei una pazza a non consegnarti a loro ad occhi chiusi. Non è vero. Tu hai il potere di concedere agli altri l'"accesso" a tuo figlio, che è stato affidato a te e a tuo marito. Nessuno ha il diritto di intervenire su tuo figlio senza il tuo consenso, ne a giudicarti, in ospedale come a casa.
Il senso di responsabilità è grande ma, come per il prendere marito e per decidere di avere un figlio, per crescerlo ci vuole a volte un pizzico di incoscienza. Col senno di poi ringrazio i miei “momenti di incoscienza” in cui ho rifiutato consigli provenienti da ostetrica, pediatra o psicologo di turno perché ho deciso di seguire invece il buon senso e l’istinto.
Mi riferisco a scelte come ad esempio quella di fare il travaglio nella serenità di casa mia, invece che correre subito in ospedale, ed opporsi al fatto che la bambina fosse allontanata da me, chiusa in una culla termica, per due ore dopo il parto(Motivazione: la mamma è troppo fredda per poter scaldare il neonato). Sapevo invece che le ore successive al parto sono le più importanti per il bonding e per l’avvio dell’allattamento. Mi riferisco alla scelta di rifiutare aggiunte di latte artificiale offerte dalle ostetriche, correndo il rischio di far patire la fame alla bimba a detta loro e più avanti di gestire l’introduzione delle pappe nella dieta di mia figlia seguendo i consigli di due pediatri di cui avevo letto i libri invece che quelli del pediatra affibiatoci dalla ASL.
E’ dura fare il contrario di quello che ti dice “il dottore”, prendersi la responsabilità di ciò che questo potrebbe comportare. L’autorità del camice è sempre una grossa influenza.
Tuttavia a volte l’ho fatto, ho preferito credere nelle informazioni che avevo scovato fuori dall’ospedale o dallo studio pediatrico, più inclini a ciò che sentivo d’istinto e nonostante/grazie a ciò la mia bambina è in ottima salute e psicologicamente equilibrata. Ne deriva che dubito che potrei dire lo stesso se avessi acconsentito sempre a tutto ciò che si aspettavano che facessi. Non demonizzo la categoria, ho sempre avuto massima fiducia nella sanità finora. Ma purtroppo per quanto riguarda gravidanza, parto, puerperio e maternità ho riscontrato grosse carenze e incoerenze nell’assistenza ai “pazienti” SANI. Altra storia è l’assistenza medica in casi di patologie, nel qual caso, benedetti i medici che possono salvare delle vite.
L’allenamento è durato molti mesi ma oggi io sono una persona molto diversa rispetto a quella che ero alla nascita di mia figlia. Ho gli occhi pieni della mia bambina e finalmente non vedo altro, la pressione della società, dei parenti, dei medici mi scivola addosso senza lasciare traccia. So che devo molto a mio marito, che mi ha lasciato carta bianca.

A proposito di “potere e responsabilità” mi viene in mente anche un altro frangente in cui la scelta di attuare o non attuare un tuo intervento utilizzando la tua autorità di madre può fare la differenza. In genere capita coi parenti più stretti ma a volte anche con perfetti sconosciuti: una persona dice o fa una cosa con o a tuo figlio che tu disapprovi o che ti infastidisce. Fortunatamente mi capita davvero molto di rado perché le persone che interagiscono con Gaia ormai riconoscono la mia autorità e raramente si permettono di  agire senza prima consultarmi (e per questo ho un grande sentimento di gratitudine verso di loro). Tuttavia può sempre capitare la persona invadente, che non riconoscendo i limiti dettati dal rispetto altrui (limiti sia “fisici” che “verbali”si intende) aggredisce tuo figlio con uno slancio di entusiasmo che gratifica solo chi lo fa, lasciando il genitore irritato e il bambino contrariato se non piangente. Ho assistito a una scena pochi giorni fa: un’amica con il bimbo in carrozzina, ci siamo incontrate per strada e ci siamo messe a chiacchierare. Io non tocco mai i bambini altrui, mi limito a salutarli sorridendogli, mi sembra più rispettoso perché non sono dei bambolotti ma delle persone e io per loro sono una sconosciuta, quindi come non gradirei se uno sconosciuto mi si avvicinasse accarezzandomi la guancia evito anche io di farlo agli altri, a prescindere dall’età. Comunque, stavamo chiacchierando e arriva una signora che saluta la mia amica e si fionda sul passeggino ad accarezzare le guance e le mani del bimbo. Io osservavo l’espressione tirata della mia amica. Dopo un po’ la signora saluta e se ne va. La mia amica mi guarda e mi dice “odio quando me lo toccano! Ma scusa, proprio in faccia gli doveva mettere le mani? E poi le manine se le mette in bocca!”. Io l’ho rassicurata sul fatto che era capitato anche a me, al supermercato, una signora dopo essersi coperta la bocca e aver emesso un sonoro starnuto ha visto Gaia seminascosta nella fascia e mi si è gettata addosso, utilizzando la stessa mano per tirare verso il basso il lembo della fascia e scoprire il viso alla bambina. Mi ero tirata indietro con un balzo e avevo avvertito la signora che la bambina quel lembo di tessuto lo succhiava quindi non era il caso di toccarlo. Ma la maggior parte delle volte, capisco la mia amica…semplicemente si tace e si stringono i pugni. Perché hai paura di offendere, perché hai paura di essere giudicata iperprotettiva. E’ giusto farsi dei riguardi e distinguere gli episodi in cui è meglio lasciar correre, perché “non è grave” o perché “anche io prima di avere figli/essermi informata facevo come loro”, dagli episodi in cui invece “si passa il limite”. Per me, lo starnuto e l’invadenza di cui eravamo state vittime era stata… “troppo”. In genere però se qualcuno si avvicinava con modi più garbati ero più disponibile a frenare i nervi, la gente a volte coi bebè ha delle reazioni istintive e non si ferma a pensare cosa ne può pensare il bebè o la mamma. Forse anche io prima di avere Gaia toccavo la manina a bimbi sconosciuti. Ma non ricordo perché non mi sono mai interessati granchè i bimbi prima, ne avevo mai pensato che potessero avere delle opinioni sulle persone che li avvicinavano.
Ad ogni modo, il mio parametro di giudizio per differenziare le situazioni troppo invadenti da quelle invadenti ma sopportabili è guardare Gaia, la sua espressione, i suoi gesti in risposta all’evento. Se sorride, o per lo meno è serena, tutto bene, a meno che non stia accadendo qualcosa di potenzialmente “insano” (le stanno offrendo dei dolci o le stanno starnutendo in faccia) non interverrò. Se invece ha un’aria preoccupata o ansiosa, mi guarda , mi si stringe addosso o peggio ancora inizia a piangere …quello è il segnale che devo intervenire, è il suo SOS. Devo difenderla, anche se la persona a cui farò sentire la mia autorità materna ci rimarrà male. Devo far sapere a Gaia che sono dalla sua parte, non le sorrido cercando di farle credere che l’ "invadente” di turno va assecondato, piuttosto assecondo mia figlia. Allora fermo tutto, mi riprendo in braccio la bambina nel caso già non lo fosse, e spiego all’invadente, con gentilezza che no, Gaia non ama essere presa in braccio dagli estranei, no, Gaia non ama chi le sta troppo adosso, no, Gaia non ama quando le si parla ”a voce troppo alta”si, Gaia è una bambina ipersensibile, è una mammona, meglio ignorarla perchè continuare a girarle intono dicendo “cucicù” mentre lei gira la testa dall’altra parte evidentemente la infastidisce. Cose ovvie, ma la gente a volte ha bisogno che le vengano spiegate.
Io sono il tramite di mia figlia per relazionarsi col mondo, se per codardia le facessi mancare la mia protezione nel momento del bisogno, a chi potrebbe mai rivolgersi? Imparerà che deve sopportare le invadenze e i soprusi della gente? Io non desidero questo, ma piuttosto che impari tramite il mio esempio a reagire, sempre con garbo, per difendere i suoi spazi fisici ed affettivi e a mediare con la gente spiegando i suoi bisogni.

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